LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso prodotto dalla
 Eternedile Commerciale S.a.s. di Nessi G. e  C.  in  San  Lazzaro  di
 Savena  (Bologna)  e  da  Nessi  Giorgio e Tonndorf Helga in proprio,
 avverso avvisi di accertamento a fini Irpeg per la societa' e a  fini
 Irpef per il socio Nessi e il coniuge Tonndorf;
    Letti gli atti;
    Sentito  il  rappresentante  dell'ufficio  ed il rappresentante di
 parte ricorrente dott. F. Maiese;
    Udito il relatore avv. Paolo Zamboni;
                           RITENUTO IN FATTO
    Con  due  distinti  ricorsi la societa' in epigrafe in persona del
 legale  rappresentante  Nessi   Giorgio   impugna   gli   avvisi   di
 accertamento  notificati  ambedue  il  4  giugno  1985  con  i numeri
 d'ordine 5/1979 anno 1985 (riferente ai redditi 1979) e 12/1980  anno
 1985  (riferentesi  ai redditi 1980) a fini Irpeg. Con altri distinti
 ricorsi il socio amministratore Nessi Giorgio in proprio e il coniuge
 dichiarante   di  questi  Tonndorf  Helga  impugnano  gli  avvisi  di
 accertamento a fini Irpef e Ilor n. 82/1979 anno 1985 (riferentesi ai
 redditi 1979) e n. 51/1980 anno 1985 (riferentesi ai redditi 1980).
    Sono  accertamenti  dell'ufficio  ii.dd. di Bologna, i cui ricorsi
 sono chiamati all'udienza odierna 6 maggio 1988 e,  dopo  discussione
 orale,   sulla   resistenza  dell'ufficio,  sono  trattenuti  per  la
 decisione.
                           OSSERVA IN DIRITTO
    Ritiene  il  collegio di dover sollevare d'ufficio la questione di
 legittimita' costituzionale delle sottoindicate norme della legge  13
 aprile 1988, n. 117.
    A  tali  fini  i  quattro ricorsi in esame possono essere riuniti,
 limitatamente alla proposizione della suddetta questione.
     A) Non manifesta infondatezza:
       a)  l'art.  16  della legge n. 117/1988 appare in contrasto con
 gli artt. 3 e 101  della  Costituzione.  Infatti  la  verbalizzazione
 delle  decisioni  adottate  dagli  organi  giudiziari collegiali pone
 sostanzialmente nel nulla il principio di segretezza della camera  di
 consiglio,  previsto  a  tutela  della piena indipendenza del giudice
 nell'esercizio della funzione giurisdizionale, e come tale assunto  a
 cardine del sistema positivo.
    Nei  confronti  del  dissenziente,  inoltre, detta verbalizzazione
 puo' non risultare idonea ad escludere l'insorgere di responsabilita'
 civile. Invero, allorquando in camera di consiglio debbono esaminarsi
 e decidersi, in relazione alla medesima controversia, piu'  questioni
 in  gradato  subordine, il componente del collegio che si esprima per
 l'accoglimento di una questione pregiudiziale, preclusiva  in  quanto
 tale dell'esame delle successive, e si trovi su di essa in minoranza,
 e' ugualmente tenuto a pronunciarsi sulle ulteriori questioni.
    In  ordine  a  queste  ultime,  peraltro,  egli  si  assume  piena
 responsabilita', stante l'autonomia del giudizio  su  ciascuna  delle
 questioni  da  decidersi,  pur essendo originariamente convinto della
 impossibilita' di passare al relativo esame;
       b) per quanto esposto sub a) in ordine alla responsabilita' del
 dissenziente, appaiono altresi' in  contrasto  con  le  citate  norme
 costituzionali anche gli artt. 7 e 8 della legge in considerazione, i
 quali prevedono la responsabilita' civile
 del  componente  del  collegio  anche  relativamente a decisioni che,
 nella prospettata ipotesi (tutt'altro che infrequente nella  realta')
 egli  ritenga  non  doversi  adottare:  da  un  lato, infatti, appare
 evidente la disparita' di posizione (nell'identico trattamento  posto
 dalle  norme  impugnate)  tra  costui  ed  i  componenti  dell'organo
 collegiale che - avendo a  maggioranza  assunto  la  decisione  sulla
 questione   pregiudiziale   -  hanno  determinato  la  necessita'  di
 esaminare  le  questioni  successive;  dall'altro  lato   il   membro
 originariamente  dissenziente  puo' subire condizionamenti in sede di
 decisione finale della controversia, essendo  chiamato  a  concorrere
 alla  soluzione  di  questioni  che  a suo avviso non dovevano essere
 esaminate, ed in ordine  alle  quali  potrebbe  invece  assumersi  la
 relativa responsabilita'.
    Tali problemi non potevano insorgere invece nel sistema previgente
 alla legge  n.  117/1988,  ove  la  decisione  della  causa  nel  suo
 complesso  era imputabile al collegio nella sua interezza; di contro,
 attualmente le norme indicate individualizzano la volonta' - non piu'
 riferibile  impersonalmente  all'organo  collegiale  - e prevedono la
 responsabilita' di ciascuno dei componenti, con le conseguenze cui si
 e' fatto cenno;
       c)  i  medesimi  artt. 1, 7 e 8 appaiono altresi' in contrasto,
 sotto altro profilo, con gli artt. 3  e  28  della  Costituzione,  in
 quanto  -  particolarmente  per cio' che attiene alla responsabilita'
 derivante dalla considerazione degli  elementi  di  fatto  risultanti
 dagli  atti del procedimento - non distinguono dal relatore gli altri
 componenti del collegio. Infatti  il  relatore  e'  istituzionalmente
 investito del compito di riferire agli altri componenti circa i fatti
 di causa, le risultanze degli atti e delle attivita' istruttorie,  lo
 svolgimento  del  processo,  le  questioni da trattare e decidere. Le
 norme impugnate, invece, fanno gravare su tutti i membri  dell'organo
 collegiale  la  responsabilita' connessa all'esercizio della funzione
 giurisdizionale, anche allorquando l'errore  sia  riconducibile  alla
 attivita'   del  relatore,  ovvero  alla  rappresentazione  dei  vari
 elementi di giudizio da parte di quest'ultimo.
    In  tal  modo  peraltro  si  assoggettano  al medesimo trattamento
 situazioni differenziate, mentre puo' prospettarsi l'insorgere di una
 responsabilita'  a  carico  di  un  soggetto  per  fatti  a  lui  non
 imputabili, laddove l'art. 28 della Costituzione impone  di  riferire
 la   responsabilita'   del   funzionario   statale  (ivi  compresi  i
 magistrati) a fatti dal medesimo commessi;
       d)  peculiari  profili  di  sospetta  incostituzionalita' della
 legge n. 117/1988 ritiene poi il collegio di  dover  evidenziare  per
 quanto   attiene  alla  sua  applicabilita'  al  giudizio  avanti  le
 commissioni tributarie.
    Anzitutto,   l'art.   8  della  legge  -  per  gli  "estranei  che
 partecipano all'esercizio di funzioni giuridiziarie" -  commisura  il
 limite  della  azione  di  rivalsa  allo  stipendio  annuo  netto del
 magistrato di  tribunale,  ovvero  al  minor  reddito  percepito  dal
 soggetto  responsabile:  con  cio'  vi e' una evidente ed irrazionale
 disparita' di trattamento con  i  magistrati  di  carriera  (i  quali
 possono  essere  chiamati  a rispondere nei limiti di una percentuale
 della retribuzione in  godimento,  spettante  per  l'esercizio  della
 attivita'  da  cui  puo'  sorgere la responsabilita', mentre i membri
 "laici" delle commissioni tributarie rispondono sulla base di criteri
 del  tutto  svincolati  dal  compenso ad essi erogato per le funzioni
 svolte). Anche all'interno delle commissioni, si riproduce la cennata
 discriminazione  tra  i giuidici non togati, e i presidenti che siano
 magistrati in servizio.
    La  norma,  pertanto,  oltre a violare il principio di uguaglianze
 (art. 3 della Costituzione), si pone altresi' in contrasto con l'art.
 101 - potendo incidere sul corretto e sereno esercizio delle funzioni
 giurisdizionali  -  nonche'  con  l'art.  97,  essendo  disattesa  la
 esigenza  di  imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione,ivi
 compresa quella della giustizia;
       e)   analogo   contrasto   con  gli  artt.  della  Costituzione
 richiamati sub d) deve ravvisarsi  con  riguardo  all'art.  7,  terzo
 comma,  della legge in esame, il quale circoscrive la responsabilita'
 degli estranei esercitanti funzioni giurisdizionali ai soli  casi  di
 cui  al  precedente art. 2, terzo comma, lettere b) e c), vale a dire
 sostanzialmente all'errore di  fatto  con  esclusione  di  quello  di
 diritto.
    Anche  sotto tale aspetto va evidenziata la irrazionale disparita'
 di trattamento con i presidenti delle Commissioni o delle sezioni  di
 esse,  che  siano  magistrati  di  carriera  in  servizio,  pur nella
 identita' di funzioni svolte (giova ricordare che la  legge  consente
 anche a non magistrati di assumere le presidenze o vice presidenze di
 sezione);
       f)   lo  stesso  art.  7  della  legge  n.  117/1988  parimenti
 discrimina (con analoghe possibilita' conseguenze  sul  funzionamento
 corretto   della   giurisdizione)   i  componenti  delle  commissioni
 tributarie - che sono tutti da considerare, in quanto  tali,  giudici
 onorari - rispetto ai giudici conciliatori, la cui responsabilita' e'
 del tutto esclusa  (salvo  il  caso  di  dolo).  Ne'  di  certo  puo'
 giustificare  il  diverso  trattamento la gratuita' dell'incarico del
 conciliatore, ove solo si ponga mente alla irrisorieta' dei  compensi
 previsti per i giudici tributari;
       g)  gli artt. 1, 2, 7 e 8 della stessa legge violano, altresi',
 il  principio  di  indipendenza   del   giudice   (art.   101   della
 Costituzione)   e   quello   di   buon   andamento   della   pubblica
 amministrazione (art. 97) sotto altro profilo.
    Il  giudizio  tributario ha quale parte necessaria lo Stato: dalla
 sistematica  lettura  della  legge  in  parola  si  evince   che   la
 responsabilita'   del  giudice  non  puo'  mai  essere  fatta  valere
 allorquando la parte danneggiata in  giudizio  sia  l'amministrazione
 statale,  non  apparendo  configuarabile  una  azione risarcitoria di
 quest'ultima nei confronti di se' stessa, in esito alla  quale  possa
 esperirsi l'azione di rivalsa.
     Orbene, non puo' revocarsi in dubbio che siffatto sistema pone il
 giudice  tributario  di  fronte   a   due   parti   (contribuente   e
 amministrazione finanziaria), da una sola delle quali puo' in ipotesi
 essere  proposta  azione  di   responsabilita':   e'   intuitiva   la
 conseguente  possibilita'  di  condizionamenti  nella  formazione del
 libero convincimento, con pregiudizio della amministrazione-parte  in
 giudizio.
     B) Rilevanza della questione.
    Le   indicate   norme  della  legge  n.  117/1988  non  troveranno
 applicazione solo nell'ipotesi di concreto  esercizio  di  azioni  di
 rivalsa  nei confronti dei giudici. Esse al contrario, per le ragioni
 sopra evidenziate,  spiegano  diretti  effetti  sull'esercizio  della
 funzione   giurisdizionali,  e  pertanto  le  relative  questioni  di
 legittimita' costituzionale devono essere sollevate pregiudizialmente
 alla decisione delle controversie nel merito.